Ci sono sentimenti di cui non ci piace parlare. Uno di questi è l'invidia. Appartiene a quella categoria di emozioni umane che nessuno di noi vorrebbe mai provare o ammettere che possano abitare la nostra psiche, proprio perchè sentimenti da celare, socialmente riprovevoli, condannabili e per i quali ci aspettiamo il rimprovero ed il disprezzo altrui.
Ma cos'è l'invidia? Da dove nasce? Cosa ci fa soffrire?
Partiamo proprio da quest'ultima domanda. L'invidia ci fa soffrire perchè è un dolore mentale e come tale va accolto e compreso, ha un suo statuto e negarne l'esistenza non aiuta a stare meglio. Vediamo allora da dove origina e quale sia il suo significato biologico oltre che relazionale. In questo modo potremo incominciare a parlarne non come se fosse uno scheletro nell'armadio, ma in quanto sentimento con una sua dignità, un suo motivo d'essere e, se volto nella giusta direzione, anche una sua forza creativa e propulsiva.
Alcuni di noi, fin da bambini, hanno vissuto in modo traumatico e rigido esperienze di dolore invidioso e di umiliazione. Se da bambino percepisco che non ho quello che altri hanno, o che non sono quello che altri sono, mi sento in svantaggio, deficitario, privo di risorse per andare avanti, con la sensazione di essere sull'orlo di un baratro. Sono un bambino incompreso a cui è stato imposto un diniego dei propri sentimenti. Mi accorgo quindi che non posso permettermi il lusso di tollerare una situazione di svantaggio così pericolosa e cerco di mettere in atto tutto ciò che mi è possibile per la mia sopravvivenza. Biologicamente si tratta di una selezione naturale, per cui svilupperò una capacità di cogliere dei segnali che mi permettono di adottare delle strategie di sopravvivenza. Se da bambino mi è mancata la protezione e l'amore dell'adulto che avrebbe dovuto accudirmi e ne sono stato anzi deriso ed umiliato, ho vissuto un'esperienza traumatica alla quale non ho potuto dare un nome ed una pensabilità, perchè mi è mancato qualcuno che mi aiutasse a strutturare dei modi adeguati di riconoscere il sentimento, gestirlo e viverlo in modo sereno.
Così si sviluppa il dolore invidioso, vale a dire il dolore che scaturisce dalla percezione delle differenze con proprio svantaggio: non siamo o non abbiamo qualche cosa di buono, ammirato, desiderabile o desiderato che altre persone hanno o sono. Il continuo confronto tormenterà tutta la mia vita, sarò sempre attento a misurarmi e cogliere le minime differenze a svantaggio, che mi faranno vedere solo il bicchiere mezzo vuoto.
Questa condizione mi fa mettere in atto una serie di strategie (quasi sempre dannose per il Sè) che tendono ad attenuare o annullare il dolore invidioso, quali il distruggere la cosa buona che mi manca, disprezzandola, oppure togliendola a chi la possiede per impossessarmene a mia volta. Il dolore invidioso mi può far agire in molti modi diversi:
- minimizzando ciò che desidero e che sento mancante;
- distraendomi anche in modo maniacale ed occupandomi in modo compulsivo;
- vivendo in modo depauperato e depresso per evitare e prevenire situazioni in cui il dolore mentale invidioso può comparire;
- diventando cinico e togliendo valore a tutto in modo che nulla possa farmi soffrire;
- anestetizzandomi emotivamente per non sentire ciò che mi fa troppo soffrire.
Una modalità meno dannosa per il Sè può consistere nel tentativo di eccellere in modo assoluto in qualcosa, prevenendo il dolore mentale invidioso, ottenendo così consolazione e tendendo ad una realizzazione che però, come una condanna, non sentirò mai essere sufficiente. O ancora, potrò cercare di acquisire la cosa buona, la qualità o lo status che mi manca o potrò cercare di diventare la cosa buona che ambisco. In questo senso l'invidia può trasformarsi in un buon propulsore e non essere solo un sentimento distruttivo.
Esiste una cura dall'invidia? Le emozioni non vanno curate. Si possono comprendere, si può dare loro un significato, che sarà per ciascuno diverso, le si possono imparare a riconoscere e gestire in modo meno dannoso per sé, accettando tutte le modulazioni della personalità che non può essere mai adamantina per sua stessa natura, bensì composta di molteplici sfumature che spesso richiedono un accoglimento umile, tollerante ed amorevole. Più spesso di quanto si pensi, dovremmo riuscire a dirci che abbiamo proprio ragione a vivere quell'emozione lì in quel momento, essendo stati bambini traumatizzati da esperienze allora insostenibili di invidia. Impariamo piuttosto a riconoscerla, viverla e gestirla come umana, sensata e legittima.