Per sviluppare questa riflessione partiamo dall’assunto di base secondo cui possiamo distinguere un narcisismo patologico e un narcisismo sano.
Il narcisismo patologico è caratterizzato da una triade di vanità, esibizionismo e ingratitudine arrogante. Esso si manifesta con la manipolazione e lo sfruttamento dell’Altro che rappresenta solo un mezzo per arrivare a un fine, piuttosto che un fine in se stesso. Il fine è di sentirsi perfetto, ottenere approvazione, non essere mai dipendente, mantenendo così l’illusione di un Sè grandioso.
Il narcisismo sano è caratterizzato invece dalla stima in se stessi, da un senso di base del valore personale.
All’origine dell’essere umano vi è sempre il desiderio di distinguersi, di essere l’unico nel Creato, di avere un valore primario come avveniva quando si era contenuti nel grembo materno, quello stato di onnipotenza in cui non si hanno bisogni, poiché è uno stato di totale autosufficienza.
Tale stato verrà irrimediabilmente perduto alla nascita, dopo la quale si andrà incontro a una serie di frustrazioni determinate dalla realtà. Ciò che segna lo sviluppo di un narcisismo patologico o di un narcisismo sano dipende da quanto l’ambiente sarà adeguato nel far trovare al nuovo nato un equilibrio tra il desiderio di mantenere un’idea onnipotente di sé e la necessità di scendere a patti con la realtà.
L’antropologo americano E. Becker affermava che se ognuno ammettesse con onestà la sua urgenza di essere un eroe, sarebbe una devastante liberazione di verità. Naturalmente ammettere questo non è facile e di conseguenza diventare consapevole di quello che si sta facendo per guadagnare un sentimento di eroismo è il principale problema autoanalitico della vita.
Potremmo quindi affermare che il narcisismo è una forma di pazzia inevitabile ed essenziale, che ci protegge dalla più ampia pazzia clinica del dover comprendere appieno la nostra provvisorietà. Il narcisismo sano ci preserva dall’avere sempre presente la propria mortalità. In questo modo viviamo pretendendo di essere diversi da ciò che siamo. Chiamiamo questa maschera nevrosi.
Il narcisismo patologico invece ci porta a negare con forza il timore della non-esistenza, a trovare ogni modo per validare il Sé, evitando di prendere contatto con una distorta convinzione di essere totalmente privi di risorse interne per dare significato alla vita semplicemente con il viverla in modo pieno.
Nella società contemporanea siamo giunti al punto in cui il Sè sostituisce la comunità, la relazione, il prossimo e diventa l’organizzatore del carattere culturalmente prevalente: il nuovo narcisismo. In questi giorni, a fronte dei divieti governativi ad uscire, abbiamo visto, attraverso il mancato rispetto delle indicazioni, diversi esempi del prevaricare del Sè sul bene comune.
Ciò che non sembra essere ancora chiaro a tutti è che preservare il Sè significa anche preservare l’Altro, come recita lo slogan di questi giorni: resta a casa, così fai bene a te stesso e agli altri. Solo quando riusciremo ad avere maggiore fiducia nelle nostre risorse interne, avendo meno bisogno di indossare la maschera dell’autosufficienza e quando riusciremo ad abbandonare l’illusione di un Sè grandioso, potremo iniziare a rispettare noi stessi e gli altri.